Quante volte abbiamo sentito parlare del mito della Spada nella Roccia? Leggenda riportata in lungo e largo su pellicole cinematografiche e su libri di letteratura narrante la storia di un giovane ragazzo, Artù, cresciuto da mago Merlino che un giorno divenne Re della Britannia dopo aver estratto la spada conficcata per secoli dentro una solida roccia.
Esiste ancora oggi quella spada? Ebbene di leggende, racconti e narrazioni ne è piena la storia così come probabilmente è pieno il mondo di Spade nella Roccia, nessuna direttamente riconducibile alla famosa spada di Re Artù ma tutte, a modo loro, capaci di portare con sé una storia e il destino di personaggi che hanno lasciato un segno indelebile sulle nostre strade.
Tra le tante spade sparse nel mondo e narrate nei racconti di padre in figlio ce n’è una realmente esistente che forse in pochi conoscono conficcata nel Lazio a pochi passi dalla Capitale e precisamente sul monte Terminillo in località 5 Confini. Questa spada porta con sé una storia interessante che racconta di cinque cavalieri templari di ritorno dalle loro missioni ad oriente, costretti a rifugiarsi sui monti nella speranza di poter tornare a casa sani e salvi.
La spada si trova lungo il sentiero del Planetario, percorso tematico meraviglioso e molto interessante già descritto sul nostro sito, arricchito nel suo interesse dalla presenza della Spada nella Roccia di importanza storica ineguagliabile.
La leggenda di questa spada ci viene raccontata da Dario Rigliaco, detto Il Leggendario, nel suo libro “Dalle Leggende ai Misteri tra Terra e Cielo” edito Erga Edizioni del Maggio 2023, nel quale viene ricostruita ubicazione e storia di molte spade presenti nei nostri confini nazionali, e del quale riportiamo un estratto proprio in merito alla spada sul Terminillo:
“[…] sul Monte Terminillo si cela una spada ben salda nel terreno roccioso, la cui storia ci riporta ai cavalieri templari.
Le vette e i borghi appenninici nascondono numerose tracce del passaggio dei Cavalieri Templari, l’ordine religioso-militare nato nel 1119 a Gerusalemme, allo scopo di proteggere i pellegrini che si recavano nella Città Santa. Da appassionato di misteri è uno degli argomenti che preferisco, ed è sempre incredibilmente affascinante poterne scoprire nuovi segreti e leggende.
Dunque neanche questa volta c’entra il buon Re Artù, ma ciò non mi demotiva, anzi, ci porta ad una nuova leggenda.
Tutto iniziò nel lontano dicembre del 1307, quando cinque templari si trovavano accampati alle pendici del Terminillo. Il luogo del Termine, la vetta che segnava il confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli. I personaggi in questione, in fuga da settimane, erano il Maresciallo del Tempio Guy de la Roche e quattro cavalieri suoi confratelli.
Il motivo della fuga? Nulla di propriamente risolvibile, in quanto Filippo IV “il Bello”, re di Francia, nel giorno di venerdì 13 ottobre 1307 aveva diramato l’ordine di cattura di tutti i cavalieri dell’ordine dei Templari, i loro dignitari e il supremo Gran Maestro Jacques De Molay, divenuti nel tempo economicamente molto, forse troppo potenti.
Come se non bastasse, il 22 novembre dello stesso anno, Papa Clemente V, aveva emesso a sua volta un Decreto che invitava tutti i Principi cristiani ad arrestare i cavalieri templari.
Guy de la Roche e gli altri quattro stavano tentando di spostarsi verso il Regno di Sicilia trovando un temporaneo rifugio sul Monte Terminillo. Coscienti del loro destino e di una cattura certa, decisero di attendere il 21 dicembre del 1307, giorno del solstizio d’inverno, per separarsi definitivamente. Guy de la Roche infisse la sua spada in una roccia e poi invocò la giustizia divina, sciogliendo i confratelli dal giuramento dell’ordine. Sotterrarono i mantelli e si dispersero in direzioni diverse, promettendo di non rivelare mai la propria identità.
In effetti, secondo questa leggenda i cinque confratelli rimasero nelle vicinanze. Uno di loro, forse al servizio di Carlo d’Angiò, partecipò alla fondazione di Cittaducale. Gli altri riuscirono a nascondersi nelle comunità di Micigliano, Castel Sant’Angelo e Borgo Velino. Guy de la Roche, invece, attratto dalla regola francescana, trovò riparo nella ‘Chiesa Foresta’: chiamata così nel testamento dell’ex cavaliere templare. Il riferimento, probabilmente, è all’attuale santuario di Santa Maria della Foresta, nei pressi di Rieti. Fra’ Bernardo, questo il suo nuovo nome da novizio, trascorse qui il resto della sua vita senza mai dimenticare i suoi confratelli. Da allora, fino al giorno della loro morte, i confratelli si ritrovarono intorno alla spada il 12 dicembre di ogni anno.
Inoltre la leggenda narra che fino a quando la spada rimarrà infissa nella roccia, i cinque comuni citati (Rieti, Cittaducale, Micigliano, Borgo Velino e Castel Sant’Angelo) che sul luogo del Termine vedono incontrarsi i propri confini, resteranno uniti e inconquistabili come una vera e unica fortezza protetta dall’ordine Templare.
La tradizione locale, vuole anche che basti sostare nei pressi della spada, senza nemmeno toccarla, per attirare fortuna. Tuttavia non è sicuramente la lama originale quella che vediamo oggi, infatti è plausibile che il ferro della spada templare, esposto agli agenti atmosferici per secoli si sia corroso. Oggi, nella località dei Cinque Confini, ci sarebbe una riproduzione fedele di cui però non conosciamo la datazione. L’iscrizione leggibile è INIO che significherebbe In Nomine Iesu Omnipotentis – dall’altro lato si riconosce l’iscrizione A.D. 1307.
La spada piantata nella roccia doveva essere un simbolo di pace e riconciliazione. Una prova di fedeltà dei cavalieri all’autorità del Papa, ma anche il simbolo della loro buona fede.
Infine, si narra che il 21 dicembre di ogni anno, in quei luoghi, aleggi ancora lo spirito dei cinque Cavalieri del Tempio.
A raccontare questa storia fu Guy de la Roche all’interno del testamento morale redatto prima di morire”
IL TESTAMENTO DI FRA’ BERNARDO
“Io Bernardo, che fui Guido de’ Roche di Francia de’ Duchi di Grecia, nell’anno 74 di mia vita, ne’ l’ora di verità, che per volontà del Signore mio fui povero compagno d’armi di Cristo e del Tempio di Salomone e co’ li mie confratelli fugendo sopra li Monti di Rieti. Vedemmo l’orrore e furia del boia del Re di Francia.
Ne’ la neve, pregammo per fratelli, per tradimento de’ lo Papa indegno. Ora sorella morte si appressa su questo sajo di povero frate, tengo il segno di Francesco per mano, ne’ la chiesa Foresta, ove trovai rifugio e lo nome novo di Bernardo. Che’ soffio di vita mia, torni a chi dette.
Lo pensiero a li confratelli che già stanno nel Signore e mandai a’ quattro venti ne’ lo giorno di Santo Giovanni. Tenni per me, la via stretta di frate Francesco che sola acquietava mio core.
Lascio lo sajo ai frati, lo corpo a madre terra e spirito mio a la Space di pace al monte.
Non nobis Domine, non nobis, sed nomine Tuo.”