La montagna racconta storie più profonde di semplici imprese alpinistiche su pareti verticali o canali nascosti, racconta la storia di due uomini conosciutisi giovani in ambienti lontani dalle vertigini al di sotto dei 200mt di altitudine, due uomini che hanno cominciato a condividere gioie e dispiaceri tipici di una grande amicizia fino a ritrovarsi oggi a calcare l'uno le orme dell'altro legati alla vita da un'esile mezza corda agganciata ad un'improbabile assicurazione improvvisata, situazioni scomode ed aleatorie rese però sicure e familiari dalla presenza del compagno. Storie di amicizie come queste non si trovano tutti i giorni, scrivere una piccola pagina di alpinismo oggi nel canale Neve del Sahara col mio Biondo amico è stato epico e divertente.
L'occasione non si è lasciata sfuggire, dopo i regali e gli autoregali di un ricco Natale la nuova attrezzatura era scalpitante di graffiarsi e usurarsi quanto prima. Come deluderla?
La stagione invernale quest'anno non è delle migliori, anzi, è decisamente una chiavica, il caldo intenso e settimane intere di sole, per quanto piacevoli, non hanno permesso l'ottimale trasformazione dei terreni di gioco montanari. La neve spappolosa rende di difficile approccio anche il più elementare canale dando agli assalitori dubbi infiniti sulle condizioni dei canali che possono essere valutati solo in loco volta per volta. Situazione questa che dissuaderebbe dalle imprese moltissimi pseudomontanari ma non me e Federico che prima ancora di una conquista di vetta o di un "flag" nella wishlist delle vie da fare abbiamo interesse a divertirci in ambienti spettacolari.
Le dissuasioni non si limitano solo alle condizioni nivometeorologiche, dopo aver impostato la partenza da La Rustica per le ore 3.00 per stare in cammino alle 5.30 anche quei pochi veri montanari che solitamente ci danno retta decidono di abbandonare il progetto per obiettivi più "normali".
E' l'alba nel versante settentrionale del monte Corvo, l'ambiente è meraviglioso e incontaminato, il sole che sorge all'orizzonte sul celestiale mar Adriatico si lascia solo immaginare dietro la maestosità del Pizzo Intermesoli. Passeggiando a Prato Selva tra seggiovie ferme e piste da sci abbandonate una sensazione di perplessità mi pervade, sembra come se da queste parti la natura abbia preso il sopravvento sull'uomo che inerme ed egoista ha quasi dimenticato questa zona economicamente poco valida. Le forme di vita sono davvero poche e la tanta strada da fare per raggiungere il posto unitamente ai lunghi avvicinamenti fanno declinare moltissimi frequentatori del Gran Sasso verso limitrofe e più comode località.
In questo angolo di Appennino trovano rifugio i più intimi desideri di esplorazione troppe volte accantonati per più familiari zone, sono davvero felice di trovarmi qui e con lo zaino pieno di attrezzatura mi avvio determinato verso le maestose pareti e i profondi canaloni della montagna.
Risaliamo le piste, abbandoniamo le utili ma ingombranti ciaspole dietro un tronco, attraversiamo dei boschi e scendiamo sulle radure dietro colle Abetone, deviamo a mezza costa fino a raggiungere il rifugio del Monte che sbuffa fumo indizio che qualcuno stanotte ha calorosamente bivaccato qui. Dietro il rifugio si spalanca immenso il fosso del Monte, ci ramponiamo e cominciamo l'ascesa, sono ormai passate da un pezzo le 3h di avvicinamento previste dalla guida, la neve ci ha rallentato moltissimo, uno strato a bassa coesione di neve farinosa poggia su di un sottile ed esile strato di ghiaccio che poggia a sua volta su altra neve morbida, ogni passo sprofonda fino al ghiaccio e una volta poggiato il peso spacca la strato più duro sprofondando una seconda volta, con questo ritmo di due contraccolpi a passo il cammino è scoraggiante, chi batte traccia è lento e si ferma spesso affaticato e in tutto ciò continuiamo a pensare in che condizioni troveremo il canale.
Neve del Sahara, finalmente la vediamo davanti ai nostri occhi; dalla destra del fosso lungo la crinale si innalza prorompente e nitida la cresta che termina nel suo punto massimo al monte Mozzone ed esattamente sotto questo dalla base fino alla cima si staglia inconfondibile e sinuoso il canale, l'ingresso si intuisce diagonale da sinistra a destra dietro una piccola cornice di neve mentre al di sopra una fascia rocciosa domina la questione. Il canale rimane con neve faticosa ma giunti al suo cospetto vediamo al centro il passaggio chiave; una strettoia che per 5 metri sale molto pendente attraverso dei tratti di roccia che sono visibilmente ghiacciati, un ghiaccio compatto ma sottile che non permetterebbe di mettere viti da ghiaccio che comunque, a scanso di equivoci, non abbiamo con noi. Un tratto così non l'ho mai affrontato se non in compagnia di persone molto più esperte di me. Arrivo davanti il salto verticale di ghiaccio e mi volto per guardare Federico e la vallata sottostante, un po' di timore comincia a vibrarmi dalle gambe alla testa e purtroppo una serie di scoraggianti pensieri si insinuano maledettamente fastidiosi nel mio cervello complicando in maniera inadeguata la mia situazione. Il Biondo si avvicina a me e mi supera, anche lui scruta il tratto chiave e insieme valutiamo il da farsi. E' un momento importante, un momento che non condiziona la sola escursione ma l'intero rapporto alpinistico tra me e Federico, ci sono dei momenti in cui per migliorare e progredire bisogna buttare il famoso cuore oltre l'ostacolo e con grinta affrontare di petto con forza e determinazione le nuove difficoltà. Pensare di rinunciare per paura è lecito ma può risultare un ingiusto prematuro fallimento. Essere capaci di conoscere se stessi, sapere di cosa si è capaci e soprattutto cosa si vuole è fondamentale per sapere riconoscere una forzatura inopportuna dal naturale miglioramento.
Siamo io e Federico, da soli con le nostre competenze, le nostre attrezzature, le nostre forze e le nostre determinazioni. Il mio compagno negli ultimi anni l'ho visto trasformarsi, non dimenticherò mai quanti scherzosi insulti gli ho rivolto in passato ogni qualvolta spegneva il cervello in montagna affidandosi ciecamente troppo spesso alla mia guida. Oggi quell'uomo è maturato e al mio fianco vedo una roccia sicura e incredibilmente intelligente capace di non sottovalutare nessun aspetto a partire da quello mentale, adesso le parti si sono quasi invertite, di sicuro allineate. il Biondo mi conosce abbastanza e non passa poco tempo perchè capisca che io ho avuto un piccolo calo mentale, in un impeto di apparente sicurezza si propone con decisione di guidare lui la salita da primo e dopo essersi legato alla corda si avvia con immenso stile sul sottile ghiaccio che con bravura ed eleganza supera in poco tempo. Nell'ascesa mette una sola protezione davvero precaria su di uno scomodo speroncino per poi procedere lungo la seconda sezione del canale più comoda rispetto al salto di ghiaccio ma ancora scivolosa e meritevole di grandi attenzioni. Io mi trovo alla base della parete, sono immerso con le ginocchia nella neve fresca poggiato sopra un ammasso di neve compattata sotto cui abbiamo messo la piccozza come ancoraggio di sosta. Vedo la corda che comincia ad accorciarsi sempre più, sono legato all'altra estremità e mano mano che la corda scorre urlo all'invisibile Biondo i metri rimanenti ma ciò nonostante la corda continua ad andar via fino ad esaurire la sua lunghezza tirando me contro l'assicuratore, in breve capisco quale sia la situazione; Federico evidentemente non è riuscito a trovare una zona ottimale di ancoraggio sebbene da sue urla mi è chiaro quanto vi sia molto vicino, non mi rimane che una soluzione, sciogliere la sosta e fare qualche passo in avanti per dare al Biondo la corda necessaria per raggiungere la nuova sosta, montarla e assicurarmi per il tratto più difficile. E così è.
Parto per la mia progressione, i muscoli delle gambe sono praticamente atrofizzati dalla staticità precedente, i guanti sono zuppi e cerco nei movimenti di scaldarmi al massimo. Risalgo la pancia di roccia ghiacciata che è piacevolmente l'unico tratto in cui piccozza e ramponi tengono bene senza che il braccio si conficchi nella neve fresca. Levo il precario ancoraggio intermedio e dopo aver superato il tratto più difficile mi ritrovo su pendenze minori a dover fare i conti con il freddo. Le mani congelate non hanno più sensibilità e mi fanno un male incredibile, raggiunto un punto comodo mi fermo e cerco col fiato di scaldare l'interno del guanto e le mani per poter progredire con un minimo di sollievo ma il mio tentativo sortisce pochissimi effetti. Pianto il rampone sinistro dentro una fossa di neve e caricandoci il peso sopra un crampo mi colpisce dal polpaccio alla chiappa bloccandomi li... la situazione è davvero fastidiosa ma per fortuna sono fuori dalle massime difficoltà del canale. Il Biondo tornato a portata d'occhio mi vede e mi chiede quale sia il problema, io non voglio allarmarlo e cerco di riprendermi rispondendogli coi fatti di una mia rinata progressione, solo dopo in realtà mi verrà confessato che il mio silenzio ha destato preoccupazione.
L'ora è ancora pressochè giovine, la scelta di fare la levataccia è stata pesante ma previgente e abbiamo ancora tempo e luce per poterci godere il resto dell'escursione senza paure. Raggiunto Federico alla sosta decidiamo di proseguire slegati per risparmiare tempo facendo comunque attenzione visto che il canale è ancora pendente e alcuni tratti sono ancora ghiacciati. Alle 14:15 siamo fuori dalle difficoltà a pochi metri dalla vetta del monte Mozzone, dopo 7h e 45m intravediamo un breve sprazzo di sole che finalmente ci scalda un pochino. La temperatura non ci sembra estrema ma dopo essermi tolto i guanti constato che questi non si erano ancora completamente congelati grazie al calore delle mie mani. Per fortuna come esperienza insegna ho un secondo paio di guanti che metto con piacere e con la mani tornate finalmente asciutte non mi rimane che prendere sottobraccio il mio fortissimo e grandissimo compagno d'avventure e raggiungere la vetta del monte Mozzone al cospetto delle magnifiche pareti settentrionali del monte Corvo che fanno da contrafforte all'imminente tramonto.
Le fatiche grosse sembrano finite ma la strada da percorrere a ritroso è ancora tanta, non ci rimane che tornare alla base godendoci gli ultimi sprazzi di luce e facendoci delle belle chiacchiere da grandi spettegolatori come ci piace tanto. Recuperiamo prima il caschetto del Biondo, che era felicemente scappato per pendii ghiacciati, poi più giù le ciaspole fino a raggiungere le piste di Prato Selva incantati da uno spettacolare atipico tramonto a 360° con nubi rosse-violacee che ipnotizzano da ogni direzione.
Oggi la linea è stata alzata, era inevitabile e giusto e non c'è stata una cosa che non sia andata come doveva. Il mio grande amico, l'attrezzatura, la bellezza del canale, l'isolamento della zona, l'esplorazione, il meteo tutto ideale per macchiare indelebilmente la mia memoria di orgoglio e felicità. A fine giornata si contano soli 10km percorsi ma su neve pesante, oltre 850mt di dislivello di cui 150mt di canale, 13h di cammino, una lepre, un cinghiale, un cerbiatto, un topolino di montagna, una volpe, un cane ma soprattutto... mille pigneeeee!!!
Partecipanti: Fabio D'Angelo, Federico Biondo Di Matteo
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